Dott. Vincenzo Alvino

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Ultimo aggiornamento il 09/02/2016 alle ore 13:41
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Infezione Da Streptococco

L'unico autorizzato ad effettuare una consulenza medica ed esprimere un parere riguardo ad una vostra richiesta è il vostro medico, per cui tutte le informazioni presenti sul sito hanno carattere puramente informativo e non possono in alcun modo sostituire quello che è il suo parere.

INFEZIONE DA STREPTOCOCCO AGALACTIAE, O BETA EMOLITICO DI GRUPPO B

I rischi dell'infezione da streptococco agalactiae. Informazioni per la gestante

Lo Streptococco Agalactiae, o di gruppo B (SGB), detto anche beta emolitico, rappresenta una delle infezioni più comuni nei neonati. Il contagio avviene dalle madri, nel passaggio attraverso la vagina durante il parto, o per contagio all'interno dell'utero: circa il 15 % di donne adulte, peraltro sane, hanno questo batterio nel basso tratto vaginale e nell'intestino.

 

Per fortuna solo 3 bambini su 1.000 nati da donne portatrici sane sviluppano segni di malattia. Questa si verifica quando il batterio riesce a penetrare nel circolo sanguigno del neonato cioè quando si realizza una sepsi. Per quanto rari, gli effetti possono essere gravi: una condizione di shock, una polmonite o una meningite. Mentre molti neonati sopravvivono senza alcuna conseguenza, per altri possono verificarsi esiti gravi come la morte del neonato o handicap permanenti con danni cerebrali che vanno da lievi disabilità dell'apprendimento ai più severi ritardi mentali, perdita di udito o della vista.

 

Lo SGB è anche responsabile di malattia puerperale con febbre, infezione uterina specie dopo taglio cesareo la cui esecuzione non elimina il rischio infettivo neonatale.

L'infezione materna può favorire l'insorgenza di alcune patologie ostetriche quali:

  • Il travaglio prematuro;

  • La rottura prematura delle membrane;

  • La presenza di febbre poco prima o durante il travaglio di parto;

 

L'infezione è inoltre facilitata da alcune condizioni predisponenti quali:

  • Una storia di precedente infezione da SGB;

  • La rottura delle membrane prolungata oltre le 12 ore prima del parto;

 

Fortunatamente c'è la possibilità di fare un trattamento preventivo. Alcune ricerche mediche indicano che somministrando antibiotici in vena alla madre durante il travaglio si può ridurre significativamente l'incidenza dell'infezione e della malattia nei neonati. Il trattamento antibiotico orale in gravidanza può ridurre la quantità di batteri per un breve periodo ma non eliminerà il batterio completamente e lascerà il bambino non protetto al momento del parto. Il trattamento antibiotico dopo il parto è invece spesso inefficace perché tardivo.

 

Esiste anche la possibilità di effettuare una valutazione diagnostica mediante dei tamponi. Si ritiene che sia preferibile eseguire questi tamponi verso la fine della gravidanza eseguendo un esame colturale. Queste colture devono essere prelevate dal tratto vaginale più vicino all'esterno (quindi senza inserire il tampone troppo in profondità) e rettale. Malgrado la coltura riesca ad evidenziare quasi la totalità delle infezioni, circa il 93% dei casi, vi sono casi in cui l'esame, come per ogni altra infezione, risulta falsamente negativo (perché ad esempio in quel giorno vi era una bassa carica batterica): ossia che una persona risulti non infetta, pur essendolo. Questo significa che una coltura negativa purtroppo non può garantire al 100% che non vi sia rischio di contaminazione.

 

Per le donne che risultassero positive all'esame colturale c'è la possibilità di effettuare un trattamento antibiotico, ma i pareri medici non sono unanimi a questo riguardo:

 

  • Poiché a fronte di molte donne portatrici del batterio vi sono, per fortuna, solo pochi bambini malati, molti medici ritengono che non sia opportuno trattare con terapia tutte le madri portatrici, bensì solo quelle più a rischio, ossia donne con membrane rotte o con minaccia di parto prematuro.

  • Altri, considerando che l'infezione può trasmettersi da madre a feto, anche in assenza di altri fattori di rischio, propendono per una maggiore larghezza nel numero di donne da curare.

  • Secondo i Center for Desease Control and Prevention degli Stati Uniti se tutte le donne positive venissero trattate adeguatamente, sarebbe possibile prevenire 3 infezioni su 4. E una autorevole associazione di pediatri, l'American Academy of Pediatrics, raccomanda che le gravide si sottopongano ad esame colturale tra la 35a e la 37a settimana di gravidanza, proponendo a tutte le donne positive, non solo a quelle più a rischio, la possibilità di fare una terapia antibiotica in travaglio. Questo orientamento viene ritenuto oggi il più affidabile.

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