Dott. Vincenzo Alvino

SPECIALISTA IN OSTETRICIA E GINECOLOGIA
PERFEZIONATO IN ECOGRAFIA E MEDICINA PRENATALE
a chi
ci rivolgiamo
servizi
offerti
Linea diretta per
informazioni e/o appuntamenti
Telefono studio
0564 412428 - 0564 416145

Cellulare
339 6461489

Email
info@vincenzoalvino.it

Seguici su
Sito in continuo aggiornamento.
Per eventuali commenti/segnalazioni
inviare una mail a: info@vincenzoalvino.it

Ultimo aggiornamento il 09/02/2016 alle ore 13:41


IEO

Home » Ginecologia »

Miomi Uterini - Fibromi

L'unico autorizzato ad effettuare una consulenza medica ed esprimere un parere riguardo ad una vostra richiesta è il vostro medico, per cui tutte le informazioni presenti sul sito hanno carattere puramente informativo e non possono in alcun modo sostituire quello che è il suo parere.

Fibromi uterini: cosa sono e come si curano

I fibromi uterini sono delle alterazioni tumorali benigne dovute all'esagerato sviluppo di cellule muscolari lisce dell'utero. Per alcuni autori si tratterebbe di un'alterazione della cellula muscolare liscia immatura, secondo altri di una cellula mesenchimale totipotente, il che potrebbe spiegare la duplice componente del tumore: muscolare e fibrosa. Se predomina la componente fibrosa si chiamano fibromi, se prevale quella muscolare miomi e se le componenti sono simili si parla di fibromiomi.

Non si conosce con certezza il processo che dà origine alla formazione di un fibroma, anche se in qualche modo sono implicati gli ormoni estrogeni che stimolano la moltiplicazione delle cellule del fibroma stesso. Non a caso, prima della pubertà molto difficilmente si evidenziano fibromi, mentre dopo la menopausa, quando manca la produzione degli estrogeni, i fibromi possono ridurre le loro dimensioni talora fin quasi a scomparire. Durante la gravidanza, invece, quando il livello di estrogeni è elevato, un eventuale fibroma può aumentare notevolmente di volume, e collateralmente può aumentare il rischio per la gravidanza.

Il mioma, o fibroma, uterino è il più frequente tumore benigno dell'utero, esso è presente in oltre il 35 per cento delle donne di età superiore ai 30 anni. Mediamente soltanto il 2 per mille delle pazienti sottoposte ad intervento chirurgico per miomi presentano una diagnosi istologica di tumore maligno (leiomiosarcoma). I miomi fanno parte dell'insieme dei tumori dell'apparato genitale femminile.

Lo sviluppo del mioma uterino è caratterizzato da alcuni fattori, come ad esempio l'età, e rappresenta una delle patologie più frequenti nell'epoca fertile della donna con un'incidenza massima tra i 35 ed i 45 anni. Altri fattori che possono interferire con lo sviluppo dei fibromi uterini sono:

  • Una prolungata esposizione agli estrogeni endogeni (menarca precoce);

  • La familiarità per fibromi;

  • L'etnia;

  • L'obesità;

  • La dieta;

  • La nulliparità ( cioè la condizione di una donna che non ha mai partorito).

Nella maggior parte delle donne il mioma è asintomatico, solo nel 40 per cento dei casi la presenza del fibroma uterino causa disturbi che possono compromettere la salute e la qualità di vita della donna. I disturbi più frequenti sono: mestruazioni abbondanti o ravvicinate, distensione addominale, dolori pelvici, aborti ripetuti o sterilità.

Non esiste una sede caratteristica di insorgenza del mioma, ma, sebbene possa formarsi in ogni parte dell'utero, nel 95 per cento dei casi l'insorgenza è a carico del corpo uterino. Il mioma può essere unico ma molto spesso le formazioni possono essere multiple. Le dimensioni del fibroma possono essere molto variabili, da pochi millimetri ad oltre 10-15 cm di diametro.

In genere, i fibromi presentano una forma rotondeggiante e spesso sono peduncolati. Le dimensioni variano da pochi millimetri a decine di centimetri di diametro. Possono essere singoli o multipli. La sede in cui compaiono è importante perché, proprio in base alla sede di sviluppo è indicato un particolare tipo di trattamento. A seconda dello strato uterino interessato e della direzione in cui si sviluppano, i miomi si possono distinguere in:

  • Fibromi sottosierosi, sessili o peduncolati, quando si sviluppano sotto il peritoneo che riveste l'utero provocando una modificazione dello stesso circoscritta alla sede interessata sono circa il 70% dei fibromi;

  • Fibromi intramurali o interstiziali, quando il nodo di fibroma si sviluppa nel contesto dello spessore miometriale determinando un aumento volumetrico dell'utero in toto rappresentano circa il 20% dei fibromi;

  • Fibromi sottomucosi, quando sporgono nella cavità uterina, sollevando la mucosa endometrialesono circa il 10% dei fibromi;

Raramente, come si è detto, si trasformano in tumori maligni (0,1/0,2 % dei casi) e, in genere, ciò accade quando le dimensioni del fibroma aumentano velocemente e contemporaneamente vengono riferiti dolori pelvici e spesso sanguinamenti irregolari.

 

Quali sintomi possono dare i fibromi?

Nel 50% dei casi i fibromi non danno alcun disturbo. Nell'altro 50% dei casi possono causare emorragie e dolori. In circa il 30% dei casi i fibromi provocano flussi mestruali abbondanti e prolungati (menometroragia) che spesso possono comportare forme anche gravi di anemia. Questo è particolarmente evidente nei fibromi sottomucosi, che aumentano lo spessore dell'endometrio.

Quelli più grossi, soprattutto intramurali e sottosierosi, possono anche provocare dolore comprimendo gli organi vicini. Inoltre, se un fibroma preme sulla vescica può aumentare la frequenza della minzione (pollachiuria) mentre, se preme sul retto può determinare una difficoltà alla defecazione.

Un fibroma può mettere a rischio sia il concepimento, sia la gravidanza stessa. Se il fibroma si trova all'imbocco delle tube può impedire agli spermatozoo di raggiungere la cellula uovo e di fecondarla. Se il fibroma è localizzato nella cavità uterina può stimolare le contrazioni muscolari uterine favorendo, quindi, un aborto spontaneo, o meno frequentemente, un parto pretermine.

La semplice visita ginecologica è in grado di scoprire un fibroma solo se la formazione raggiunge i 5-6 cm e se la donna è abbastanza magra. In alternativa si ricorrer all'ecografia pelvica, esame che utilizza sonde ad ultrasuoni, appoggiate sull'addome o inserite in vagina, al fine di eseguire uno studio più approfondito dell'apparato genitale interno (utero ed ovaie);

Non esistono metodi di prevenzione per evitare la comparsa di fibromi. Per questo è fondamentale sottoporsi a controlli periodici dal ginecologo.

 

COME SI CURANO I FIBROMI UTERINI

Ad oggi, non esiste un trattamento etiologico o preventivo per questa patologia. L'intervento terapeutico è richiesto esclusivamente per quei fibromi che provochino una sintomatologia importante. I trattamenti chirurgici, indicati solo nei fibromi sintomatici, per i quali esiste un "rationale" (emorragie responsabili d'anemizzazione e aumento del volume uterino con sintomi da compressione), possono essere effettuati sia in prima istanza, in relazione alla sintomatologia emorragica e compressiva, sia dopo l'eventuale fallimento di una terapia medica.

Ci sono attualmente tre diversi tipi di terapia che possono essere presi in considerazione per il trattamento del fibroma uterino:

  • Terapia Medica,

  • Intervento Chirurgico (Isterectomia, Miomectomia)

  • Embolizzazione delle arterie uterine.

Terapia medica

I farmaci che si possono utilizzare nei riguardi dei fibromi sono alcuni trattamenti ormonali e sono rappresentati dai progestinici e dagli analoghi del GnRh.

  • I progestinici agiscono sulle menometrorragie attraverso l'atrofia dell' endometrio. Sono efficaci solo durante la fase di trattamento, non diminuiscono il volume dei fibromi e talvolta hanno la tendenza ad aumentarlo.

  • Gli analoghi del GnRh determinano una menopausa chimica con caduta del tasso degli estrogeni; l'amenorrea conseguente permette di correggere l'anemia In genere tali farmaci sono utilizzati in vista di un intervento o nell'attesa della menopausa. La loro assunzione va protratta al massimo per 3-6 mesi. L'azione sulla vascolarizzazione uterina determina una riduzione del volume tumorale in media del 30%, ma altera sensibilmente i piani di clivaggio tra fibroma e miometrio adiacente, rendendo difficoltosa un'eventuale miomectomia. Il costo elevato, gli importanti effetti collaterali (vampate di calore, atrofia vaginale, ecc.), l'efficacia transitoria (effetto "rebound" alla sospensione del trattamento) rendono il loro impiego limitato alla fase preoperatoria o durante l'attesa della menopausa.

  • Il nuovo farmaco (ulipristal acetato, ESMYA), agisce sul fibroma bloccandone la proliferazione, in quanto provoca l’apoptosi (morte programmata) dei vasi sanguigni che lo irrorano. Dovrebbe avere l’indicazione per il trattamento pre-chirurgico dei fibromi uterini, ma in effetti sarebbe anche in grado di ridurre le dimensioni del fibroma stesso tanto da non rendere più necessario l’intervento chirurgico. Si è visto, infatti, che sospendendo il trattamento con ulipristal della durata di tre mesi(compresse quotidiane da 5 mg), il fibroma non cresce più, a differenza di quanto in genere accade con gli agonisti del GnRH (una iniezione al mese), interrompendo i quali il fibroma torna a crescere. Inoltre il farmaco non provoca vampate di calore e, appena se ne sospende l’assunzione, la donna ritorna fertile e volendo può programmare una gravidanza. 

Se il fibroma non risponde a questi trattamenti e i sintomi continuano, soprattutto in presenza di fibromi di grandi dimensioni (superiori a 9 cm) e di fibromi multipli, si può intervenire chirurgicamente, per via laparoscopica (se il fibroma ha dimensioni contenute) o laparotomica (se più voluminoso). Solitamente si pratica un intervento di asportazione parziale, conservando l’utero. In alcuni casi molto selezionati (5%) si pratica l’isterectomia totale, con asportazione di tutto l’utero.

La pillola in genere non ha nessun effetto sulla crescita dei miomi, in alcuni casi, se non sono presenti dolori addominali o mestruazioni molto abbondanti, la pillola potrebbe essere utile per tenere sotto controllo il fibroma. In ogni caso è sempre bene effettuare una visita di controllo periodicamente.

Non esistono terapie uguali per tutte le donne e solo il ginecologo, dopo aver attentamente valutato il singolo caso, può scegliere il trattamento più adeguato. Se i fibromi causano disturbi importanti (emorragie, dolori) e non rispondono alla terapia medica, probabilmente sarebbe meglio toglierli. Le terapie più frequentemente utilizzate sono quelle chirurgiche che, a seconda dei casi, prevedono la rimozione di tutto l'utero (isterectomia) o dei singoli fibromi (miomectomia). Per l'asportazione dei fibromi esistono diverse tecniche chirurgiche (isteroscopia, laparoscopia, laparotomia) e la scelta dipende dalla sede, dalle dimensioni e dal numero dei fibromi. Negli ultimi decenni tuttavia la scelta terapeutica per le donne con fibromi sintomatici si è allargata ulteriormente con una efficace alternativa non chirurgica, l'embolizzazione delle arterie uterine. Nel 10-30% dei casi la comparsa di nuovi fibromi dopo un intervento è legata alla presenza di fibromi troppo piccoli (nell'ordine dei millimetri) per essere evidenziabili all'ecografia prima dell'intervento.

 

LA TERAPIA CHIRURGICA DEI FIBROMI UTERINI SI AVVALE DELLE SEGUENTI RECNICHE:

  • LA MIOMECTOMIA LAPAROSCOPICA.

  • LA MIOMECTOMIA PER VIA ISTEROSCOPICA

  • L'INTERVENTO PER VIA LAPAROTOMICA 

LA MIOMECTOMIA LAPAROSCOPICA

I leiomiomi uterini sono un problema clinico estremamente comune nella pratica ginecologica, essendo infatti rinvenibili in circa il 20% delle donne di età superiore ai 30 anni. Essi rappresentano il più comune tumore del tratto genitale femminile e sono causati dall'espansione di una singola cellula miometriale. Essendo quasi sempre benigni, il loro trattamento è quindi necessario solo quando divengono sintomatici dando menometrorragie, algie pelviche, tensione ipogastrica, aborti ripetuti, sterilità, ed il gold standard di trattamento è da considerarsi senz'altro la chirurgia.

La letteratura attuale riflette, tuttavia, anche in questo campo, come in molti altri, una tendenza verso approcci chirurgici meno invasivi e più conservativi e, nella fattispecie, una tendenza sempre maggiore alla ricerca di alternative alla isterectomia addominale nel trattamento dei miomi uterini sintomatici.

La miomectomia laparoscopica rappresenta una delle indicazioni più recenti della celioscopia operativa ed è forse quella a cui si deve porre maggior attenzione a riguardo di:

  • Selezione delle pazienti;

  • Trattamento preoperatorio;

  • Difficoltà tecniche intraoperatorie;

  • Trattamento delle complicanze intraoperatorie e tardive;

  • Prevenzione della formazione di aderenze, etc.

Nella selezione delle pazienti un ruolo importante è sicuramente svolto dall'affinamento delle metodiche diagnostiche ed in particolare dall'ultrasonografia con la tecnica transvaginale e con l'applicazione della color-doppler flussimetria.

La presenza di leiomiomi uterini sintomatici è la più frequente indicazione alla isterectomia (20-30%) e la gran maggioranza di queste isterectomie è eseguita per via laparotomica. Non è tuttavia solo il fatto che i miomi siano sintomatici a decretarne l'indicazione all'intervento demolitivo, ma anche le dimensioni uterine complessive quando ad esempio raggiungono le dimensioni come di un utero di 12 settimane di gestazione; ed infatti oltre queste dimensioni aumenta significativamente la morbidità di un successivo intervento di isterectomia. Se l'isterectomia resta il trattamento chirurgico più utilizzato per la fibromiomatosi dell'età peri-menopausale, l'approccio chirurgico conservativo e cioè la miomectomia, da sempre standard di trattamento per le donne che desideravano preservare la potenzialità riproduttiva, va recuperando sempre maggiori indicazioni sia per i negativi influssi psicologici dell'isterectomia, sia per la riduzione delle complicanze emorragiche ottenute grazie al pre-trattamento con gli analoghi del GnRH. La miomectomia consente di risolvere la sintomatologia meno-metrorragica in oltre l'80% dei casi e di ripristinare la fertilità nel 60% delle infertilità legate a miomatosi .

L'approccio endoscopico alla miomectomia sia per miomi sottomucosi con resezione isteroscopica, che per miomi sottosierosi ed intramurali mediante laparoscopia operatoria, si è sempre più affermata.

Ruolo degli analoghi del Gn-RH nel trattamento pre operatorio

Gli analoghi del Gn-RH per quanto si siano rivelati inadeguati come trattamento risolutivo e inadatti ai trattamenti a lungo termine, sono sicuramente efficaci nel ridurre le dimensioni dei miomi, la massa e la vascolarizzazione uterina, il sanguinamento intraoperatorio e la sintomatologia algica, configurandosi così come un'ottimale opzione pre-operatoria finalizzata ad una minore invasività e ad una maggiore conservatività dell'atto chirurgico. Un recente studio ha dimostrato che, associando il tibolone agli analoghi del Gn-RH prima di un intervento di miomectomia laparoscopica, non vi sarebbe un decremento dell'efficacia degli analoghi, ma una migliore compliance per la paziente.

La diminuzione dei tempi operatori non si verificherebbe per i miomi marcatamente ipoecogeni. Infatti gli analoghi del Gn-RH indurrebbero aree di necrosi coagulativa e di degenerazione mista a carico principalmente dei miomi a maggiore cellularità.

Secondo altri autori, non soltanto il trattamento pre-operatorio con analoghi del Gn-RH non offrirebbe sostanziali vantaggi alla miomectomia laparoscopica, ma l'utilizzo degli stessi sarebbe associato ad un aumento del rischio di recidiva (legato al fatto che i miomi più piccoli sfuggono all'intervento), ad una più difficile enucleazione (legata una sostanziale difficoltà a trovare un buon piano di clivaggio) e a un possibile ritardo nella diagnosi di un leiomiosarcoma.

Tecnica chirurgica laparoscopica

Preliminarmente all'intervento di miomectomia deve essere eseguita sistematicamente una isteroscopia al fine di distinguere quei miomi intramurali profondi che vanno trattati per via laparoscopica, da quelli sottomucosi che richiedono un approccio isteroscopico.

Le vie di accesso, oltre quella ombelicale , sono normalmente tre: due laterali da 5 mm ed una terza mediale sovrapubica da 10 o 15 mm.

La tecnica di asportazione è diversa a seconda dei casi:

Per quel che concerne i miomi a sviluppo intramurale può essere difficile in alcuni casi la loro localizzazione in assenza di una protuberanza esterna. L'intervento consisterà in una incisione profonda della sierosa cui seguiranno trazioni con pinza o con il myoma-drill di Semm allo scopo di trovare un piano di clivaggio tra il mioma e l'utero. La trazione sul mioma combinata alla controtrazione sull'utero faciliterà la dissezione. Le briglie di tessuto connettivo tra il mioma e l'utero all'interno del piano di clivaggio verranno tagliate o coagulate con elettrodo bipolare se si tratta di peduncoli vascolari.

Per i miomi sottosierosi, sessili e/o peduncolati, se la base di impianto è piccola, si procede soltanto alla coagulazione e sezione del peduncolo; se la base di impianto è larga è utile l'applicazione di un endoloop prima della sezione del peduncolo.

I miomi vengono quindi parcheggiati nel cul-de-sac prima di essere rimossi. Si procede alla chiusura della breccia uterina. Le incisioni uterine profonde sono chiuse in duplice strato utilizzando suture 0 a punti staccati per il miometrio e 2-0 introflettenti o a 8 per la superficie sierosa. Per l'estrazione del mioma, che rappresenta uno dei momenti più complessi e lunghi dell'atto laparoscopico, possono essere adottate diverse soluzioni: - per via addominale, attraverso una delle brecce laparoscopiche, eventualmente ampliata(mediante morcellamento con strumenti manuali o elettrici di vario diametro) attraverso una piccola incisura del fornice vaginale posteriore, che viene poi suturata con tecnica classica, senza preoccuparsi del peritoneo parietale.

La laparoscopia è poco traumatica e le cicatrici chirurgiche sono ridotte. Pertanto comporta minor dolore post-operatorio, minor tempo di guarigione (con buoni risultati anche estetici), con minor degenza (1-2 giorni) rispetto alla laparotomia. In alcuni casi questo tipo di intervento non permette di rendersi conto dei fibromi più piccoli, aprendo la strada al verificarsi di recidive.

I miomi, modificando la normale contrattilità uterina, possono interferire con la migrazione degli spermatozoi e col trasporto dell'embrione; inoltre possono determinare cambiamenti nell'architettura vascolare uterina influenzando così il trofismo endometriale e di conseguenza l'impianto dell'embrione. Sono soprattutto i grossi miomi intramurali ad avere un effetto negativo sulla fertilità; la grandezza del mioma può rappresentare un altro importante fattore prognostico e un diametro di 5 cm rappresenta la misura limite che giustifica un intervento di miomectomia. Diversi studi clinici hanno dimostrato una ripresa della fertilità dopo l'intervento di miomectomia con tassi di gravidanza variabili tra il 44 ed il 62% e con l'80% dei concepimenti nel I anno dopo l'intervento chirurgico. 

LA MIOMECTOMIA PER VIA ISTEROSCOPICA

Questo intervento è indicato per l'asportazione di fibromi sottomucosi, fino a 4-5 cm, che sporgono in cavità uterina. L'intervento è controindicato se c'è un'infiammazione pelvica in atto. L'intervento in genere è svolto in regime di day-hospital, in anestesia locale o generale, inserendo attraverso la vagina, nell'utero, l'isteroscopio (un tubo sottile con fibre ottiche che permette di vedere su un monitor la cavità dell'utero) e, con esso, strumenti miniaturizzati per asportare il fibroma. L'intervento dura circa 15-30 minuti. Non rimangono cicatrici e bastano 1-2 giorni di degenza con una convalescenza breve e una rapida ripresa delle normali attività. Talora occorre intervenire una seconda volta per asportare eventuali residui del fibroma.

L'INTERVENTO PER VIA LAPAROTOMICA

Si ricorre alla laparotomia in presenza di numerosi e voluminosi fibromi, in particolare se sono intramurali. Questa tecnica prevede l'apertura della parete addominale con un'incisione trasversale o longitudinale in base alle dimensioni dei fibromi. Si individuano le formazioni, si asportano, quindi si ricostruisce l'utero. L'intervento eseguito in anestesia generale dura in genere circa 1-2 ore, ma può variare in base al numero ed alle dimensioni dei fibromi.

Il ricovero dura circa 4-5 giorni e dopo 3-4 settimane si riprendono le normali attività quotidiane. Possibili complicanze sono infezioni ed emorragie, in ogni caso rari, così come i traumi alla vescica. Frequente è la comparsa di dolori pelvici dovuti alla formazione di aderenze.

Se la donna ha concluso il proprio periodo riproduttivo, presenta sintomi gravi, i fibromi sono numerosi, voluminosi e hanno presentato delle recidive, si può ricorrere all'asportazione dell'utero a patto, però, che la donna stessa non tenga fortemente alla conservazione dell'organo. La terapia chirurgica rimane ancora oggi l'unica vera alternativa terapeutica.

La tecnica adottata dipende dal numero, dalla localizzazione e dalle dimensioni dei fibromi, dall'età e dalle esigenze riproduttive della paziente. 

La miomectomia, cioè l'asportazione di uno o più fibromi (miomectomia multipla) viene condotta normalmente in pazienti selezionate, nelle quali il numero e le caratteristiche dei fibromi asportati consentono di avere sufficiente tessuto sano tale da poter ricostruire e dare una morfologia normale all'utero. Le pazienti candidate a questo tipo di intervento sono di solito abbastanza giovani ed hanno una esigenza di fertilità futura; l'intervento infatti consente a queste pazienti di tentare una futura gravidanza ma purtroppo non evita future recidive della malattia.

A questo intervento selettivo si contrappone l'isterectomia totale, uno degli interventi ginecologici più eseguiti; esso mira all'asportazione totale dell'utero e quindi ad una terapia radicale e definitiva della malattia. L'asportazione dell'utero comporta principalmente sterilità e scomparsa definitiva dei flussi mestruali; aspetto quest'ultimo talvolta particolarmente desiderato quando la malattia ha determinato anemizzazione. Un'altro intervento, particolarmente rivalutato in questi ultimi tempi in donne di età inferiore ai 50 anni è l'isterectomia subtotale cioè la sola asportazione della parte superiore dell'utero (il corpo), lasciando in situ la cervice (il collo). Questo tipo di intervento è effettuabile solo in pazienti che abbiano un collo uterino (la parte dell'utero più bassa che confina direttamente con la vagina) anatomicamente normale, con regolare posizione nella pelvi e senza rischi oncologici (il pap test normale). La rivalutazione di questo intervento è nata dalla consapevolezza che gran parte delle secrezioni (fluidi) vaginali origina dalle ghiandole endocervicali; tali fluidi nell'età riproduttiva (cioè mtno di 50 anni, dipendendo comunque dalla funzione ovarica) sono importanti per un normale trofismo (benessere) dei tessuti vaginali. Inoltre il collo uterino, essendo collegato con tutto l'apparato di sospensione della pelvi gioca un ruolo molto importante nel mantenimento di una sua buona statica contribuendo a ridurre le possibilità di prolasso. L'isterectomia totale e quella subtotale determinano sempre la perdita della funzione riproduttiva ma non hanno effetti negativi ad esempio sulla funzione urinaria e sessuale che anzi spesso migliorano. Nelle pazienti di età inferiore ai 50 anni operate per fibromatosi, quando è possibile è preferibile non asportare le ovaie in quanto, gli ormoni che producono, gli estrogeni, sono importanti per la salute in generale, per la cute, per l'apparato cardiovascolare, per mantenere un normale trofismo dei tessuti uro-genitali. Negli altri casi, quando l'asportazione è necessaria, sarà comunque successivamente valutata una terapia ormonale sostitutiva.

Le vie di accesso per gli interventi descritti, avvengono generalmente per via addominale (sia per via laparoscopica che attraverso incisioni tradizionali spesso comunque anch'esse molto estetiche); solo in casi molto selezionati l'isterectomia totale può essere effettuata anche per via vaginale (uteri non troppo grandi).

La ripresa di una normale attività lavorativa è consigliata dopo una convalescenza di circa 20 giorni...

 

L'EMBOLIZZAZIONE DEI FIBROMI UTERINI

L'embolizzazione arteriosa, rappresenta l'alternativa alla chirurgia dei fibromi uterini sintomatici. Inizialmente riservata esclusivamente a donne tra i 38 e i 48 anni non più desiderose di avere una gravidanza, fu successivamente estesa anche a donne giovani desiderose invece di conservare la propria fertilità. Nella letteratura medica corrente, non sono pochi i casi riportati di donne con una gravidanza portata a termine dopo trattamento di embolizzazione di fibroma uterino ed a molte di queste donne era stata prospettata inizialmente come sola ed unica possibilità l'asportazione totale dell'utero.

L'embolizzazione delle arterie uterine è utilizzata da molti anni in ostetricia e ginecologia.

Attualmente la tecnica permette di trattare miomi singoli o multipli in maniera pressochè definitiva evitando alla paziente di sottoporsi, salvo rare complicanze, all' intervento chirurgico.

I principali criteri di inclusione di una paziente a sottoporsi ad embolizzazione delle arterie uterine sono::

  • La presenza di utero fibromatoso con uno o più fibromi sintomatici, individuati sul piano clinico e strumentale ( ecografia – Risonanza Magnetica) che non siano peduncolati;

  • La persistente sintomatologia di tipo emorragico, compressivo o gravativo , nonostante un trattamento medico ben condotto;

  • L'assenza di un trattamento ormonale da almeno 3 mesi (causa di molti insuccessi riportati in letteratura);

  • La presenza di un rischio anestesiologico e operatorio elevato, che controindichi la chirurgia.

 

Criteri di esclusione invece sono:

  • La presenza di fibromi uterini non sintomatici;

  • Eventuali menometrorragie legate a patologie maligne;

  • Donne in trattamento ormonale con progestinici e/o analoghi del GnRh;

  • Donne incapaci di aderire ad uno stretto periodo di sorveglianza post embolizzazione (controlli periodici ogni 6 mesi per la durata complessiva di due anni)

  • Le controindicazioni all'arteriografia (protesi arteriose, rischio ischemico);

  • Allergia documentata ai mezzi di contrasto;

  • Diatesi allergica;

  • Rifiuto della paziente.

 

Prima del trattamento le pazienti vengono visitate:

  • Dal ginecologo (per una valutazione clinica e strumentale tesa a escludere altre patologie ed in caso di menometrorragie a stimarne l'entità. Si richiederà: emocromo, sideremia, ferritinemia, pap-test, ecografia pelvica);

  • Dall'anestesista (per una valutazione preoperatoria)

  • Dal radiologo interventista (per informare la paziente sulla tecnica).

Alla paziente sarà sottoposta una nota informativa e le sarà chiesto di sottoscrivere un consenso informato. Dopo la discussione del caso clinico e l'accordo collegiale, la paziente sarà ricoverata il giorno prima dell'intervento per effettuare degli esami ematochimici (gruppo sanguigno, emocromo, tempo di Quick, PT, PTT, tempo di emorragia, CPK, ecc) e strumentali. La paziente resterà a digiuno dalla mezzanotte per recarsi in sala radiologica la la mattina seguente.

L'embolizzazione viene eseguita da un radiologo vascolare in una sala specificamente attrezzata, la Sala Angiografica.

I materiali per l'embolizzazione sono quelli classici di un cateterismo arterioso; in arterie uterine estremamente tortuose può essere tuttavia richiesto anche l'uso di un microcatetere, tipo Tracker. Per l'occlusione arteriosa vengono utilizzate microparticelle sferiche (polivinilformaldeide inerte) di dimensioni variabili ( 300-500, 500-700 e 700-900 micron).

Dopo anestesia locale eseguita a livello inguinale, o in certi casi epidurale (fibromi voluminosi), viene incannulata l'arteria femorale prima e l'arteria ipogastrica poi. Infine, il catetere viene avanzato selettivamente all'interno dell'arteria uterina in modo da rimanere nel suo terzo medio-prossimale per evitare un vasospasmo arterioso che impedirebbe la progressione delle microparticelle da occlusione fino ai vasi arteriosi più periferici del fibroma. Quando si osserva la comparsa di ristagno arterioso all'interno del fibroma l'iniezione delle microparticelle può essere arrestata; il ristagno, è infatti indice di completa occlusione dei vasi arteriosi propri della lesione. E' importante sottolineare che la procedura di embolizzazione deve essere tassativamente eseguita bilateralmente . E' ormai ben noto che la chiusura di una sola delle due arterie uterine, indipendentemente che si tratti della destra o della sinistra non è sufficiente per garantire la guarigione. Ciò è stato ulteriormente validato dal fatto che in presenza di una ipervascolarizzazione unilaterale del tumore ( per mancanza congenita o iatrogena di un'arteria uterina), la percentuale di fallimento della procedura per il ripristino dal lato controlaterale della vascolarizzazione del tumore è elevato (in questi casi sono le arterie ovariche che sembrerebbero ripristinare progressivamente l'apporto di sangue al fibroma). Dopo essersi assicurati della riuscita della devascolarizzazione, il catetere viene sfilato ed una medicazione compressiva applicata sulla puntura d'ingresso all'inguine. La paziente è poi ricondotta in reparto. L'intervento ha una durata complessiva di circa 45 minuti.

Dopo l'embolizzazione, la comparsa di dolore pelvico dipende dal volume dei fibromi. Il dolore può essere immediato e durare 12-18 ore, seguito in qualche caso da lievi crampi addominali di probabile origine ischemica. Questo richiede un trattamento analgesico appropriato: dai morfino-simili per via venosa, infusi a mezzo di pompa autogestita ( cioè controllata direttamente dalla paziente), agli antinfiammatori non steroidei per una settimana, dagli antispastici agli antinausea. Nei casi di grossi fibromi è utile l'anestesia epidurale. Quando i fibromi raggiungono un diametro di 10- 12 cm è possibile osservare una sintomatologia ritardata in 3°-5° giornata, caratterizzata da dolore pelvico-addominale associato a reazione peritoneale, nausea e febbre. Tale sintomatologia può persistere per qualche giorno ed assomiglia a una complicanza spontanea dei fibromi: la necrosi asettica.

Generalmente, per i fibromi di diametro inferiore agli 8 cm la dimissione avviene il giorno successivo all'intervento. Al momento della dimissione viene prescritta una terapia per os (antidolorifici ed antibiotici) da proseguire a casa per 5 giorni.

Durante la prima settimana dopo l'intervento possono comparire febbre (anche superiore a 38° C) e perdite vaginali (macchie). Anche questi effetti sono tipici della tecnica e non richiedono cure diverse da quella prescritta alla dimissione.

Nella maggior parte dei casi si è in grado di riprendere tutte le normali attività entro 5-10 giorni dall'embolizzazione.

La paziente sarà controllata entro 2 mesi dal suo ginecologo. L'efficacia del trattamento è valutata con:

  • Anamnesi ed esame obiettivo, tesi a verificare l'evoluzione della sintomatologia emorragica e compressiva;

  • Emocromo, per monitorare l'anemia, e CPK per verificare la correlazione tra caduta dei tassi di CPK e riduzione volumetrica del fibroma;

  • Eco-color-doppler o RM per valutare la riduzione del volume del fibroma e la scomparsa della rete vascolare peritumorale.

La paziente sarà ricontrollata dal ginecologo con gli stessi esami a 6 mesi, a 12 mesi e poi annualmente.

L'efficacia sulle menometrorragie è immediata, mentre per apprezzare una riduzione volumetrica del fibroma uterino bisogna attendere 4-6 mesi: il processo inizia non prima di 4 settimane e prosegue per 8-12 mesi soprattutto per i grossi fibromi.

Ad oggi, il numero delle pazienti trattate nel mondo con embolizzazione è in costante aumento. La sintomatologia correlata al fibroma (incontinenza urinaria, menorragia, senso gravativo addomino-pelvico) scompare nel 73-98% delle pazienti trattate con embolizzazione. Ad un anno dal trattamento le dimensioni complessive dell'utero si riducono mediamente di almeno il 50%. In alcuni casi è possibile osservare la completa e definitiva regressione della massa. E' tuttavia importante sottolineare che in circa il 10% dei casi potrebbe verificarsi una risposta parziale al trattamento, una ricrescita dei fibromi trattati o la crescita di nuovi fibromi. Il tasso di complicanze maggiori dopo embolizzazione è basso, essendo compreso tra l'1 e il 2%. L'amenorrea temporanea o permanente è riportata essere il 5% e il 2% rispettivamente ed è evento maggiormente presente in donne di età superiore ai 45 anni mentre appare essere estremamente rara in donne sotto i 35 anni. 

Secondo le numerose evidenze presenti in letteratura medica è possibile affermare che:

  • L'embolizzazione arteriosa con microparticelle rappresenta una reale ed efficace alternativa alla chirurgia invasiva;

  • Rispetto alla terapia ormonale, l'embolizzazione evita protocolli lunghi, con effetti collaterali spesso importanti;

  • Secondo diversi studi, questa tecnica potrebbe eliminare l'80% delle isterectomie e il 65% degli interventi conservatori per fibromi uterini

  • Le conseguenze psicologiche e sessuali sono nulle e le gravidanze possibili; attualmente, le indicazioni all'embolizzazione sono rivolte anche verso donne giovani con desiderio di prole. Tuttavia, in queste pazienti è assolutamente neccessario che la dose di radiazioni alle ovaie sia estremamente contenuta e ciò è generalmente correlato con l'esperienza di cateterismo dell'operatore;

  • E consigliabile prima di sottoporsi ad un intervento di embolizzazione di fibroma uterino accertarsi che al termine della procedura l'operatore fornisca l'esatta dose di radiazione assorbite dalla paziente alla quale dovrebbe sempre essere applicato un dosimetro per raggi X al momento del suo arrivo in sala angiografica;;

  • Fibromi di recente insorgenza sembrerebbero rispondere particolarmente bene all'intervento di embolizzazione (in queste pazienti può verificarsi anche la completa e definitiva regressione del fibroma);

  • I risultati per i casi di fibromi multipli e/o recidivanti sono buoni e l'embolizzazione ha la specificità di poter trattare nello stesso tempo tutti i fibromi, anche quelli molto piccoli o in via di formazione;

  • La procedura è in genere ben accettata dalle pazienti. Specificatamente, uno studio statunitense effettuato su circa 2000 donne precedentemente sottoposte a embolizzazione ha indicato una percentuale di soddisfazione addirittura superiore al 90%

E' importante tuttavia tenere presente che:

  • L'effetto dell'embolizzazione sulla dimensione dei fibromi varia da caso a caso perché dipende dalla specifica struttura di ogni singolo fibroma;

  • L'efficacia dell'embolizzazione sui sintomi è indipendente dal suo effetto sulla dimensione dei fibromi: i disturbi scompaiono o migliorano sensibilmente anche quando la riduzione dei fibromi è relativamente modesta.

L'embolizzazione è una tecnica sicura ma, come qualsiasi intervento medico o chirurgico, potrebbe avere alcune complicazioni che si possono così riassumere:

  • Occasionalmente può formarsi un ematoma nella zona della puntura d'ingresso all'inguine. Questa complicazione si risolve spontaneamente nello spazio di pochi giorni.

  • In circa il 7% delle donne che hanno fibromi sottomucosi si può verificare l'espulsione per via vaginale dei fibromi embolizzati nel corso dei mesi successivi all'intervento.

  • Altre complicazioni possibili ma assai rare sono la scomparsa dei cicli mestruali (amenorrea) e l'infezione dei fibromi embolizzati.

     

Sintomi menopausa - La visita ginecologica