Dott. Vincenzo Alvino

SPECIALISTA IN OSTETRICIA E GINECOLOGIA
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Desiderio Sessuale E Disturbi Di Evitamento E Avversione Sessuale

L'unico autorizzato ad effettuare una consulenza medica ed esprimere un parere riguardo ad una vostra richiesta è il vostro medico, per cui tutte le informazioni presenti sul sito hanno carattere puramente informativo e non possono in alcun modo sostituire quello che è il suo parere.

DESIDERIO SESSUALE E DISTURBI DI EVITAMENTO E AVVERSIONE SESSUALE

Quando si parla di desiderio sessuale, come emozione, tutti sanno cos’è quando lo provano, eppure molti ne lamentano la mancanza o la scarsa intensità e cercano di ottenerlo con droghe e stimoli sempre più trasgressivi.

Il desiderio sessuale è espressione di una funzione cerebrale piuttosto complessa, che induce il bisogno e il desiderio di comportarsi in un certo modo dal punto di vista sessuale e può essere in qualche modo indotto:

  • Da stimoli interni al corpo: ormonali o psichici (come ad esempio le fantasie sessuali e i sogni erotici);

  • Da stimoli esterni al corpo: veicolati attraverso gli organi di senso che sono in grado di generare una forte attrazione quando si dovesse incontrare una persona che in qualche modo riesce ad eccitare l’intimo di chi ne risulta così attratto.

Attraverso l’attrazione fisica, che si manifesta in modo quasi “esplosivo” nel periodo puberale, il desiderio sessuale rappresenta in primo luogo il fattore principale per il mantenimento della specie. L’attrazione più forte, quella cosiddetta “di pelle”, viene indotta dai ferormoni, sostanze che stimolano l’attrazione sessuale e la cui secrezione inizia proprio nel periodo puberale. Queste sostanze sono diverse da soggetto a soggetto, vengono codificate dal sistema immunitario e si può dire che maggiore è l’attrazione fisica che una persona suscita, maggiore risulterà la probabilità di successo riproduttivo, nel senso di procreare figli sani e vitali.

Desiderio sessuale e ferormoni sono sotto l’influsso degli ormoni ed in particolare dal testosterone, un ormone presente sia negli uomini che nelle donne nelle quali, però, è estremamente importante anche la presenza degli estrogeni, ragion per cui in menopausa, diminuendo gli estrogeni, il desiderio sessuale tenderà via via ad affievolirsi, a meno che la donna non utilizzi una terapia ormonale sostitutiva studiata su misura per lei.

In entrambi i sessi il desiderio sessuale viene frenato da un aumento della prolattina, un ormone che può aumentare per molte ragioni (allattamento a parte) tra le quali molto spesso è implicato lo stress. Tra gli ormoni che invece favoriscono il desiderio vi è l’ossitocina, neurormone che aumenta notevolmente, in coincidenza con l’orgasmo. Questa sostanza fa distinguere al nostro cervello chi ci rende felici e rappresenterebbe il principale mediatore neurobiologico dei legami affettivi.

Per una buona sessualità oltre agli ormoni naturalmente sono importanti anche la salute fisica e psichica in quanto regolano il livello di energia vitale, di cui l’energia sessuale è un elemento essenziale, e sono anche importanti altri fattori, stimolanti o inibenti, tra cui farmaci, droghe e malattie psichiatriche per cui di fronte ad una diminuzione o alla perdita completa del desiderio sessuale, è essenziale innanzitutto un’accurata valutazione medica.

La salute fisica, tuttavia, è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per far si che il desiderio sessuale si possa manifestare ed infatti il secondo grande fattore che influisce sulla variazione del desiderio sessuale è la motivazione emotiva e affettiva che lo sottende ed infatti si potrebbe distinguere tra:

  • Sesso amoroso, che nasce dal bisogno/desiderio di amore e di intimità emotiva ed è tipico dell’amore romantico, infatti se la coppia è innamorata, questo tipo di sesso, fa sognare più di ogni altro e, se corrisposto, può far raggiungere una felicità assoluta, soprattutto nelle donne;

  • Sesso ricreativo o sperimentale, che nasce dal desiderio di gioco, di novità, di trasgressione, di divertimento, di complicità che è tipico dei giovani maschi, al giorno d'oggi viene sperimentato con gusto da entrambi i sessi, e a tutte le età, con la complicità di vari fattori quali una crescente disinvoltura sessuale, una maggiore disinibizione, minori regole morali, una prostituzione facilmente fruibile e Internet;

  • Sesso procreativo, finalizzato al concepimento e all’avere un figlio rappresenta la motivazione che spinge al progetto di una famiglia, integra e umanizza la spinta procreativa biologica;

  • Sesso riparativo, o consolatorio, in cui il bisogno sessuale nasce da motivazioni non sessuali (ansia, tristezza, sentimento di solitudine, abitudine, noia) e molte donne accettano un rapporto senza gioia per tutte queste ragioni;

  • Sesso strumentale, sempre più di frequente, finalizzato a ottenere dei vantaggi diretti o indiretti, economici, professionali, relazionali.

Queste motivazioni possono poi variare in diverse fasi della vita e a seconda della relazione che la donna e l’uomo stanno vivendo. Infine, il desiderio è modulato dalla valutazione sull’opportunità o meno di esprimerlo, considerando quali possono essere i rischi e i vantaggi.

La diagnosi di “mancanza o di scarso desiderio” è piuttosto delicata in quanto il desiderio sessuale rappresenta un’emozione difficile da quantificare specialmente se il soggetto interessato soggettivamente pensa di avere un comportamento del tutto normale, tuttavia, ci sono alcuni comportamenti che potrebbero effettivamente suggerire una riduzione di desiderio sessuale e addirittura se ne potrebbero individuare alcuni che tenderebbero proprio ad “evitare l’intimità” indicando una strategia, più o meno consapevole, a sottrarsi ad una possibile avance da parte del partner. Quando questi segnali sono costanti, al punto da ridurre obiettivamente la frequenza dei rapporti sessuali, si potrebbe ipotizzare effettivamente un calo del desiderio ed i segnali più importanti a tal riguardo sono rappresentati dai seguenti comportamenti:

  • Coricarsi prima o molto dopo rispetto al partner;

  • Accusare malesseri soggettivi (il classico “no, ora non posso…ho mal di testa”);

  • Iniziare discussioni spiacevoli o un litigio vero e proprio all’ora di cena;

  • Guardare la TV fino a tarda ora;

  • Usare il telefono per ore nei momenti che potrebbero essere più adatti al sesso;

  • Lasciare la porta della camera aperta se si hanno figli nella stanza accanto;

  • Lasciare che i più piccoli dormano “in mezzo” nel letto coniugale (inducendo il contraccettivo perfetto, ossia l’astinenza);

  • Trascurare l’aspetto fisico e in generale avere poca cura di sé, specie in casa;

  • Stordirsi di alcol;

  • Avere rapporti ripetitivi, noiosi, brevi e quindi poco gratificanti.

Se si dovessero individuare alcuni di questi comportamenti, ci si dovrebbe chiedere quale potrebbe esserne la causa ed in tal modo si potrebbe trovare una soluzione. In pratica per individuare una eventuale causa le aree da esplorare sono tre:

  • L’area biologica (fisica);

  • L’area psicologica;

  • L’area relazionale, cioè relativa alla coppia.

Le cause fisiche più frequenti possono essere ormonali (l’età potrebbe suggerire un possibile ruolo della caduta del testosterone, ormone che stimola il desiderio, e degli estrogeni), ma sono importanti anche l’anemia da carenza di ferro, la sindrome premestruale, l’ansia e la depressione, nonché problemi genitali che causino dolore ai rapporti, cistiti o difficoltà di orgasmo.

Le cause psicologiche quali: stress e conflitti possono frenare molto il desiderio sessuale.

Le cause relative alla relazione tra i due soggetti della coppia in quanto conta moltissimo anche la qualità dell’intimità e, soprattutto, dello stimolo che il partner stesso è in grado di dare. Nella coppia, spesso il partner che riferisce il problema è in realtà il portavoce, più o meno consapevole, dei problemi dell’altro; si parla allora di “induttore” del sintomo e “portatore” del sintomo ed infatti ad esempio:

  • Circa il 40% delle donne perde il desiderio quando loro il partner presenta problemi sessuali quali il deficit di erezione o l’eiaculazione precoce;

  • Molte donne dichiarano che il desiderio tende a diminuire fino a scomparire per la monotonia sessuale, per la mancanza di fantasia, per la prevedibilità e per l’incapacità del partner di corteggiarle. 

In cosa consiste quella che viene definita “AVVERSIONE SESSUALE”

Normalmente, l’intimità sessuale tra due persone che cominciano a piacersi e a volersi bene cresce contemporaneamente alla motivazione all’inizio a stare insieme e poi a far l’amore, e questa motivazione è fatta sia di attrazione fisica che di sentimenti ed emozioni. E’ un processo dinamico, talora veramente ”esplosivo”, come avviene ad esempio nel cosiddetto “colpo di fulmine”, altre volte il dinamismo è più lento e dolce, come succede quando l’amicizia e l’affetto diventano pian piano amore e attrazione.

Alcuni soggetti, trovandosi di fronte ad una opportunità sessuale con un partner, possono presentare sensazioni di ansia, timore e talora addirittura disgusto. L’avversione al contatto genitale può essere focalizzata su un particolare aspetto dell’esperienza sessuale (per es., secrezioni genitali, penetrazione vaginale) ed alcuni soggetti provano una repulsione generalizzata verso tutti gli stimoli sessuali, inclusi baci e carezze. L’intensità della reazione del soggetto esposto allo stimolo che produce avversione può variare da un’ansia moderata, con mancanza di piacere, fino ad un’estrema sofferenza psicologica.

Quando l’intimità scatena invece un’ansia indicibile e viene percepita come un qualcosa di angosciante, può portare a una vera e propria “avversione sessuale”, che si manifesta per evitare il ripetersi di un’esperienza che fa stare molto male. L’avversione può avere una prevalente componente fisica, con sintomi tipici di un’ansia somatizzata determinata dal sistema neurovegetativo, quello involontario, che può indurre: nausea, sudorazione fredda, vasocostrizione, tachicardia, e qualche volta persino fame d’aria. Questi disturbi possono essere così intensi da potersi considerare un vero e proprio attacco di panico.

Quindi l’intimità in alcuni casi potrebbe scatenare, per vari motivi, una forte ansia e la donna potrebbe reagire con un rifiuto più o meno netto dell’intimità stessa, e persino sperimentare un disgusto che, in casi estremi, potrebbe sfociare in quella che la dottoressa Kaplan ha definito una vera e propria “avversione sessuale”. Per esempio, se una donna ha subìto un abuso fisico nell’infanzia, è molto probabile che in età adulta cerchi in ogni modo di evitare l’intimità per non dover rivivere ogni volta quella drammatica esperienza. In questi casi, l’avversione non è solo “psicologica”, ma può avere una prevalente componente fobica, con i sintomi tipici dell’ansia somatizzata.

L’avversione sessuale potrebbe essere considerata una vera e propria fobia nel senso che l’angoscia nei confronti dell’intimità, determina uno stato di panico dovuto a sua volta ad un rapido aumento degli ormoni che mettono in stato d’allarme e di paura in particolare l’adrenalina (che causa la sudorazione fredda, l’aumento del battito cardiaco, la nausea...) e il cortisolo. Nello stesso tempo gli ormoni sessuali, e cioè gli estrogeni e gli androgeni surrenalici, tendono a ridursi notevolmente a causa dello stress che si è venuto a determinare. Quando il trauma emotivo alla base del problema è stato intenso, o si è ripetuto più volte, è come se l’organismo venisse messo in uno stato di allarme permanente, con peggioramento dei sintomi d’ansia e della nausea ad ogni situazione che rievochi anche lontanamente l’esperienza negativa; questo stato che si viene a verificare, va messo bene in evidenza in quanto è essenziale per aiutare a capire quanto i farmaci che riducano tale stato di allarme, siano preziosi per uscire dall’empasse. E’ indispensabile trovare un terapeuta, che sia in grado di intervenire contemporaneamente sia sulle basi fisiche che su quelle emotive di questo stato patologico, valorizzando anche il bene che può nascere da un rapporto di coppia qualitativamente buono.

Altre volte invece l’avversione sessuale è più razionale, per esempio quando una donna evita volontariamente l’intimità sessuale con il partner per vari motivi ad esempio:

  • Perché la donna trova frustrante far l’amore con quel partner;

  • Perché l’intimità la fa sentire sessualmente inadeguata;

  • Perché il partner può averla delusa, sul fronte affettivo oppure, ed è più frequente di quanto non si possa credere, sul versante dell’igiene personale e della cura di sé, in particolare nelle coppie di mezza età;

  • Talora può nascere dalla paura di mostrarsi nudi, perché ci si sente fisicamente inadeguati, per l’età, per il fatto di essere in sovrappeso, oppure per l’esito di determinati interventi chirurgici.

Questa molteplicità di fattori di cui il medico dovrebbe tenere conto, si basa sull’estrema complessità dei meccanismi biologici, psicologici e relazionali del desiderio e dell’eccitazione sessuale femminile. Il fatto di mettere a fuoco la causa dell’avversione è quindi essenziale per definirne in un secondo tempo la cura più efficace.

Sia l’”avversione” che l’”evitamento” sono quindi strettamente correlati a fattori neurovegetativi e cognitivi mediante un'interrelazione complessa, infatti entrambe le componenti, quella neurovegetativa, involontaria, e quella cognitiva, volontaria, possono essere presenti, tuttavia, in genere si tende a parlare di “avversione sessuale” vera e propria quando si è in presenza di una prevalente base fobica, mentre si preferisce il termine di “evitamento sessuale” quando la donna decide di non esporsi all’intimità . Spesso, però, i due termini si possono considerare intercambiabili. In molti casi, d’altra parte, la donna “sceglie” l’evitamento solo a livello inconscio, e quindi non consapevole, anche se non matura necessariamente un atteggiamento fobico; invece in altri casi, l’ansia potrebbe essere il frutto di una predisposizione genetica e non necessariamente di un evento traumatico. Ovviamente la realtà è sempre più complessa delle definizioni scientifiche, soprattutto quando le variabili psico-relazionali si intrecciano con quelle fisiche. I due termini non vanno quindi intesi in modo rigido, ma solo come indicatori della possibile prevalenza di una possibilità etiologica sull’altra.

A parte il caso di una predisposizione genetica, la motivazione fobica dell’avversione è da attribuire il più delle volte ad un abuso fisico (molestie sessuali, stupro, incesto) o psicologico (molestie verbali, maltrattamenti, o l’aver assistito a una scena traumatica), soprattutto se tale abuso è stato subìto durante l’infanzia. L’avversione fisica che la donna prova alla sola idea che un uomo possa toccarla esprime allora la profondità e la drammaticità del condizionamento negativo che il trauma ha inciso nella sua mente. Le reazioni di panico e sofferenza descritte sono infatti coordinate dalla parte più automatica e antica del sistema nervoso centrale, che a sua volta registra e ricorda tutte le esperienze che possano avere inciso negativamente sul nostro rapporto con gli altri e con l’ambiente. Un trauma di questo tipo non è una sensazione passeggera, fatta solo di emozioni negative, ma viene registrata indelebilmente nella biochimica del cervello, e condiziona parte dei nostri processi psichici e perfino le nostre reazioni automatiche. La complessità e la gravità dei sintomi neurovegetativi può aiutare a capire quanto alcuni farmaci possano essere preziosi per migliorare la situazione. In questi casi, però è quasi sempre indispensabile avviare anche una qualificata psicoterapia, per lavorare contemporaneamente anche sulle basi emotive del sintomo.

L'”evitamento volontario”: motivazioni psicosessuali e relazionali

Altre volte invece l’avversione matura sul piano cognitivo e razionale, e si preferisce parlare allora di “evitamento sessuale”, ciò accade, per esempio, quando la donna respinge volontariamente l’intimità sessuale con il partner perché trova frustrante far l’amore con lui, o perché talora si sente sessualmente incapace. Un tempo le donne che presentavano questi sintomi erano definite “frigide” o “sessualmente insensibili”. In altri casi l’evitamento si potrebbe verificare perché lui l’ha delusa sul fronte affettivo oppure perché non ha cura di sé e dell’igiene personale. Altre volte ancora, l’avversione sessuale può nascere perché la donna si sente fisicamente inadeguata per il deterioramento, reale o percepito, dell’immagine corporea, dovuto soprattutto ai fenomeni legati all’invecchiamento, a trattamenti medici o all’esito estetico di interventi chirurgici. In questi casi la donna si percepisce come fisicamente poco attraente, ed evita quindi ogni forma di intimità sessuale.

L’evitamento dell’intimità viene spesso osservato assieme ad altre disfunzioni sessuali, in particolare con il disturbo del desiderio sessuale ipoattivo, e la fisiopatologia di questo insieme di patologie si basa sia sulla neurobiologia delle emozioni fondamentali che contribuiscono ad alimentare e a modulare il desiderio sessuale, sia sui fattori psicosessuali che possono agire come fattori predisponenti, o precipitanti, per entrambe le patologie.

In altri casi, l’”avversione sessuale” della donna può essere innescata da disfunzioni sessuali del partner, che, a sua volta, contribuisce poi ad alimentare e sostenere e potrebbe capitare che venga diagnosticata solo quando il partner, o la coppia, si rivolgono al medico per il disturbo maschile.

La complessità dei fattori in gioco può aiutare a capire come, anche in questi casi, una buona diagnosi differenziale sia essenziale per definire la terapia più efficace.

Le condizioni di salute della donna possono certamente influenzare la sua motivazione sessuale ed esse possono svolgere un ruolo importante nell’”evitamento sessuale”, a causa dei cambiamenti biochimici, neurologici, fisiologici, psicologici ed emotivi dovuti ad eventuali malattie e/o ad un determinato trattamento terapeutico. Ad esempio il diabete mellito, un tumore della mammella o un tumore ginecologico, possono contribuire all’”evitamento sessuale” con diversi meccanismi fisiopatologici. L’uso di antidepressivi ad esempio può indurre un appannamento della funzione orgasmica e, di conseguenza, un progressivo rifiuto dell’intimità.

Il diabete mellito può causare una diminuzione delle sensazioni e della lubrificazione genitale, e portare così all’insorgenza di disturbi sessuali di crescente gravità, sino all’evitamento sessuale.

Anche le donne in cura per un tumore al seno o un tumore di tipo ginecologico spesso segnalano un peggioramento della funzione sessuale, che può sfociare nell’evitamento volontario dell’intimità a seconda della terapia a cui la donna si stia eventualmente sottoponendo, ciò può essere determinato:

  • Dal deterioramento dell’immagine corporea che la donna ha di se, dovuto ad esempio alla mastectomia, al linfedema, all’asportazione dell’utero (isterectomia) e delle ovaie (ovariectomia bilaterale);

  • Dalla compromissione delle basi biologiche della risposta sessuale derivante dalla menopausa iatrogena secondaria all’ovariectomia bilaterale, alla chemioterapia, alla radioterapia e ad altre opzioni terapeutiche, o anche dal fatto che, in alcuni casi, l’asportazione dell’utero può diminuire l’intensità e la qualità delle contrazioni orgasmiche.

Bisogna inoltre tener presente che, con l’ovariectomia bilaterale, la donna perde non solo il 100% degli estrogeni, ma anche il 50% circa del testosterone, e questo contribuirebbe in modo determinante a privarla della spinta biologica più forte del desiderio in quanto vengono frenate sia la via “dopaminergica”, ossia la parte del cervello che attiva il desiderio sessuale, l’energia vitale, l’assertività, la voglia di fare, di sedurre, di rispondere ad un’avance sessuale gradita, sia la via “serotoninergica” che regola il tono dell’umore. In una buona percentuale di casi questa diminuzione del desiderio sessuale e del tono dell’umore potrebbe determinare una vera e propria avversione sessuale un’avversione cioè strettamente dipendente proprio dalla carenza ormonale, sempre che nella coppia non esistano conflitti, delusioni, tradimenti o altri fattori negativi di tipo affettivo.

Anche l’uso di psicofarmaci, e in particolare degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, può comportare problemi a lungo termine. Le ricerche parlano di un 30-60% di effetti collaterali, in particolare disturbi del desiderio, dell’eccitazione e dell’orgasmo, sino al caso limite del blocco totale, quando la dose del farmaco risultasse elevata e ciò sarebbe dovuto al meccanismo biochimico del farmaco. E’ però anche vero che, sovente, è la depressione stessa a compromettere la risposta sessuale e, in particolare, il desiderio sessuale. La cura, migliorando altri sintomi più evidenti dello stato depressivo, legati alla qualità della vita in generale, può quindi portare la paziente a notare con maggiore consapevolezza il problema legato alla sessualità.

Vanno ricordati anche altri fattori che possono influire sulla genesi dell'avversione o dell'evitamento sessuale e cioè:

  • Le mutilazioni non terapeutiche di matrice culturale, come la circoncisione (asportazione del prepuzio del clitoride), l’escissione (asportazione del clitoride e taglio totale o parziale delle piccole labbra) e l’infibulazione (asportazione del clitoride, delle piccole labbra, di parte delle grandi labbra con cauterizzazione, e cucitura parziale della vulva per preservare la verginità fino al matrimonio) . Queste forme di mutilazione sono praticate entro il primo anno di vita, o negli anni peripuberali come “rito di passaggio”;

  • Le aspettative religiose o culturali sulla sessualità femminile e la sua funzione nella società: enfatizzandone la dimensione procreativa rispetto a quella ricreativa, possono inibire potentemente il desiderio e il perseguimento del piacere. E’ infatti del tutto comprensibile che, se una donna prova forti sensi di colpa riguardo al piacere, finisca per sperimentare anche elevati livelli.

L'evitamento può essere indotto anche da problemi del partner ed infatti si è già accennato al fatto che l’avversione della donna può essere innescata da disfunzioni sessuali del partner (disfunzione erettile, eiaculazione precoce), soprattutto nelle coppie di una certa età.

Fra le condizioni predisponenti spiccano in particolare:

  • L’età;

  • L’immagine corporea, reale e percepita;

  • Le condizioni di salute;

  • L’equilibrio psicologico;

  • I valori sociali, culturali o religiosi;

  • La cura di sé e l’igiene personale.

Nelle coppie più anziane, in particolare, altri fattori decisivi sono:

  • L’età;

  • L’importanza attribuita all’intimità fisica, spesso maggiore nell’uomo che nella donna;

  • Il grado di cultura e di educazione;

  • L’eventuale presenza di disturbi sessuali.

La valutazione clinica deve mirare ad evidenziare e soppesare tutte quelle variabili, personali e di coppia, che sono state riscontrate e cioè:

  • Una eventuale componente fobica;

  • Condizioni di salute non ottimali;

  • Fenomeni collegati all’invecchiamento;

  • Immagine corporea

  • Motivazioni psicosessuali e relazionali;

  • Mutilazioni genitali;

  • Aspettative religiose e culturali;

  • Problemi del partner;

  • Dinamiche conflittuali.

L’esame fisico è certamente indicato quando all’ ”evitamento sessuale” contribuiscano problemi legati all’immagine corporea e/o a risultati chirurgici che vengono percepiti negativamente.

E’ importante che il medico sia il più possibile empatico e sappia incoraggiare la donna a superare il senso di vergogna legato alla tipologia del disturbo, agli eventi ad esso collegati (traumi, mutilazioni, credenze, altre disfunzioni sessuali), e ad aprirsi alla possibilità di guarire.

Le pazienti che hanno subito un trauma possono impiegare un lungo periodo di tempo per riacquistare un sufficiente livello di fiducia e sicurezza in modo tale da riuscire a raccontare ricordi personali spesso imbarazzanti. Il medico dovrebbe verificare con molto tatto l’esistenza di traumi infantili, anche con domande indirette ed in caso di evidenti resistenze inconsce da parte della paziente, potrebbe essere utile parlare dell’evento traumatico come se si fosse effettivamente verificato questa strategia comunicativa incoraggia la donna a integrare ed eventualmente correggere l’ipotesi del medico, accogliendo il “permesso” di affrontare un argomento così delicato.

Se la donna è di cultura africana, vi è un’alta probabilità che possa avere subìto una mutilazione genitale, o che possa avervi assistito da bambina il che potrebbe essere stato altrettanto traumatico. Anche in questo caso, è opportuno che il medico affronti, naturalmente sempre con il dovuto tatto, il discorso come se ciò fosse effettivamente accaduto e aiuti la donna a confermare o eventualmente smentire tale ipotesi, piuttosto che attendere che sia lei a fornire spontaneamente un’informazione così delicata e imbarazzante.

Se al consulto si presentano entrambi i componenti della coppia, il medico dovrebbe procedere con sedute sia congiunte che separate. Spesso, infatti, il colloquio individuale può rivelare prospettive ed esperienze che non emergono nella sessione congiunta. In particolare, se la donna per diverse ragioni non si sente più attratta dal partner ed evita volontariamente l’intimità, è bene che possa esprimere tutte le sue motivazioni privatamente. In caso di forti conflitti di coppia, infine, il medico deve essere consapevole del potenziale “guadagno” secondario derivante dal mantenimento del problema.

 

COME SI POSSONO CURARE I DISTURBI DA AVVERSINE SESSUALE

La complessità dell’etiologia del disturbo di avversione sessuale implica la necessità di un approccio multidisciplinare, con un team in cui dovrebbero lavorare in stretta collaborazione un ginecologo, uno psicologo, un sessuologo e un fisioterapista.

Il trattamento prevede l’esposizione sistematica della situazione sessuale temuta ed evitata in precedenza. Questa tecnica può avere successo soltanto se la paziente viene esposta all’aspetto specifico del rapporto sessuale che evoca la sua reazione fobica. Si prescrive al singolo, oppure alla coppia, la tecnica della focalizzazione sensoriale, per desensibilizzare dall’evitamento dell’intimità fisica e per eliminare l’ansia delle prestazioni. Questo è probabilmente il metodo più efficace per il trattamento dei soggetti con avversioni sessuali generali. Per il successo terapeutico è fondamentale che le esperienze di esposizione sistematica evochino quel livello di ansia che è un ottimo veicolo per l’estinzione dell’associazione che la paziente ha compiuto tra sensazioni di paura, o di avversione, e sesso.

La paziente deve affrontare pertanto la situazione sessuale temuta e “rimanervi” finché la sua ansia non tenda a scomparire, il che le permette di abituarsi a sperimentare la situazione sessuale, in precedenza temuta ed evitata, in uno stato di rilassamento e, come auspicato, in seguito anche piacevole.

Le mansioni prescritte hanno la funzione di fornire alla donna oppure ai membri della coppia un’occasione per acquisire fiducia e sicurezza nel loro funzionamento sessuale, mettendoli quindi in condizioni di funzionare normalmente e di umanizzare il rapporto sessuale, arrivando a considerare e a vivere il rapporto sessuale come una funzione naturale. Ansia e sensi di colpa si generano quando vi è una discrepanza tra l’esperienza reale e le aspettative non realistiche nei confronti della sessualità e queste concezioni erronee, unite alle reazioni emotive che le accompagnano, possono produrre disadattamento e disfunzioni sessuali. Pertanto il trattamento deve affrontare questi aspetti e contribuire a ristabilire un clima sicuro riguardo alla sessualità, aprendo le vie di comunicazione nella coppia, e ripristinando il desiderio di attività sessuale.

Se all’origine dell’avversione c’è un trauma (e/o una predisposizione genetica ai disturbi di ansia), si possono ottenere buoni risultati integrando, da un lato, una terapia farmacologica che vada ad attenuare progressivamente la sintomatologia di tipo fobico, che si viene ad attivare ad ogni segnale, anche indiretto, di corteggiamento maschile e, dall’altro lato, iniziando una psicoterapia specificamente orientata a disinnescare la risposta di avversione. Questa associazione terapeutica sembra offrire i risultati migliori e più duraturi ed infatti una volta che si riesca ad attenuare la componente di avversione neurovegetativa, è possibile iniziare a lavorare con risultati positivi anche sul tema centrale della fiducia. In ogni caso si potrebbe intervenire:

Sul fronte fisico e funzionale:

  • Con farmaci che riducano l’ansia e la fobia, come la paroxetina, che allevia i sintomi somatici d’ansia e migliora anche l’umore (in genere depresso dalla memoria del trauma);

  • Con il movimento fisico regolare, per scaricare in modo naturale la tensione accumulata;

  • Con lo yoga, che aiuta a regolarizzare il respiro e a sciogliere ulteriormente il nodo di sofferenza;

  • Con una terapia sessuologico-comportamentale per recuperare una piena competenza sessuale;

Sul fronte emotivo:

  • Con una psicoterapia individuale, per dar voce al dolore e alla rabbia per l’esperienza subita, così da liberarsene;

Sul fronte della coppia:

  • Con una psicoterapia congiunta che consenta di recuperare gradualmente l’intimità.

Se all’origine del disturbo c’è invece una menopausa secondaria a ovariectomia bilaterale, chemioterapia o radioterapia “total body”, una terapia ormonale “su misura” con ormoni bioidentici (estradiolo e testosterone in cerotto) può con gradualità attenuare l’avversione sessuale fino a ripristinare desiderio e piacere.

Va sottolineto il concetto della gradualità, perché riportare in equilibrio i neurotrasmettitori cerebrali dopo un intervallo più o meno lungo di “silenzio” ormonale richiede alcuni mesi di cura prima di avvertire che il corpo risponda come prima dell’intervento. La sensazione di “ritrovarsi”, però, è molto bella. Molte donne, dopo, dicono con gioia: “Mi sento di nuovo una donna”, oppure “Mi sento di nuovo viva” o, ancora, “Adesso che ho ritrovato il gusto di far l’amore mi sembra che tutta la mia vita abbia ripreso colore!”.

Naturalmente, anche in questo caso, è necessario affrontare in parallelo le possibili implicazioni psicologiche che l’asportazione di utero e ovaie può aver comportato sul senso di femminilità e seduttività della donna.

La chirurgia estetica o funzionale può essere indicata quando l’evitamento sessuale scaturisca da problemi di immagine corporea, secondari per esempio a risultati negativi di un intervento o a mutilazioni genitali. Per esempio, le donne che hanno subìto una mastectomia possono aver bisogno di una ricostruzione del seno per ripristinare un’importante componente visiva della loro immagine corporea, anche se la perdita della percezione tattile della mammella ed erotica del capezzolo (totale dopo la mastectomia e parziale dopo la quadrantectomia) può indurre la paziente a evitare gli approcci centrati sul seno.

L’avversione sessuale è dunque un segnale importante riguardo alla sessualità femminile. Merita di essere compresa nella sua complessità causale: biologica, psicologica e relazionale.

La terapia è in genere multifattoriale, indirizzata a correggere i diversi fattori che concorrono all’evitamento dell’intimità. La prognosi è buona se la conduzione del caso viene affidata ad un medico esperto, che sappia comprendere e curare la varietà di fattori che si esprimono con questo sintomo peculiare che può minacciare la felicità personale e della coppia.

 

Sintomi menopausa - La visita ginecologica